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domenica 30 novembre 2014

ROM e Mercatini dell'Usato

Mi sembra interessante riproporre questo post scritto nel 2007 alla luce di quello che sta avvenendo a Roma e a Napoli i cui Sindaci cercano di contrastare la vendita di materiali raccolti nei cassonetti .

E' il comunicato stampa redatto da rappresentanti della comunità ROM e di estremo interesse in quanto le loro proposte potrebbero realizzare forme di coesistenza e collaborazione tra questa comunità e la nostra senza che nessuna rinunci alle proprie peculiarità culturali.



COMUNICATO STAMPA

GLI OPERATORI DELL’USATO ROM MANIFESTANO SOTTO LE SCALINATE DEL CAMPIDOGLIO PER DIRITTO AL LAVORO ED EMERSIONE DELLA FILIERA

Mercoledì 28 Novembre, a un mese preciso dalla prima mobilitazione a Lungotevere Dante, gli operatori dell’usato rom tornano a manifestare per la regolarizzazione del loro lavoro.

A Roma l’attività della maggior parte dei mercatini dell’usato rom è stata sospesa. Nonostante il settore dell’usato rom sia florido e potenzialmente in espansione, la politica delle chiusure ha prodotto centinaia di disoccupati a oggi disperati e senza nessun mezzo di sussistenza.

Commerciare merci usate non può essere considerato alla stregua di un crimine: il riuso è una priorità ambientale, e chi toglie materiale dai cassonetti sottraendolo allo smaltimento offre un importante servizio a tutta la città.

Ci rendiamo conto che la filiera dell’usato attualmente porta con sé numerosi problemi, principalmente legati all’igiene e all’infiltramento di merci rubate.
Per questa ragione intendiamo rilanciare i mercatini rom a Roma partendo da soluzioni concrete:

· le merci riusabili non devono più essere “pescate” dai cassonetti; grazie al sistema del porta a porta (che già viene sperimentato nei quartieri Decima e Colli Aniene) le stesse merci potrebbero essere selezionate in isole ecologiche fondate sul riuso erivendute a noi operatori rom sotto forma di stock

· il denaro che gli operatori rom sono disposti a fornire per acquistare le merci può essere efficacemente allocato all’assunzione di altri rom da impiegare nelle operazioni di pulizia e igienizzazione dei mercati

· grazie all’acquisto delle merci presso le isole ecologiche gli operatori potranno dotarsi di partita IVA, ricevere fattura al ritiro delle merci e fornire scontrino alla vendita; in questa maniera non sarà più possibile alcun dubbio sulla provenienza degli oggetti

· per garantire la tenuta di tutto il meccanismo, i mercatini dovranno essere dotati di regolari chioschi ad assegnazione nominale

Per discutere produttivamente sulle nostre proposte, chiediamo l’immediata convocazione di un tavolo al quale siano presenti gli Assessori all’Ambiente, al Lavoro, al Commercio e alle Politiche sociali del Comune di Roma

Mercoledì 28 Novembre,ore 11-14
Piazza San Marco - Roma

Shishiri Lavoro
Occhio del Riciclone

Info:
333/5856634
346/080888

Terrazzamenti da adottare: il ritorno alle "terre alte" 4)

Un terrazzamento abbandonato è un danno collettivo.

Con l'abbandono dei terrazzamenti tutti perdiamo identità culturale, paesaggio, cibo di qualità, lavoro, biodiversità.

Ma il costo più grave, che gran parte del Paese sta pagando in questi giorni sotto l'attacco di incessanti nubifragi, è quello che ci fanno pagare frane, smottamenti, colate di fango, inondazioni.

A parità di pioggia, tutti questi eventi avversi potrebbero essere mitigati con la cura dei terrazzamenti realizzati su Appennini e Alpi, nel corso di secoli di duro lavoro.

Numerosi studi concordano che una montagna terrazzata raddoppia  il tempo di ritorno di eventi alluvionali  disastrosi:  se, senza terrazzamenti, si ha una elevata probabilità di registrare un alluvione disastrosa ogni cento anni, con terrazzamenti ben gestiti l'evento disastroso di analoga magnitudine potrebbe avvenire solo dopo duecento anni.

In attesa che un qualche governo si accorga che la vera Grande Opera di cui abbia bisogno il Paese è la manutenzione dei nostri monti, ci sono sempre più cittadini che scoprono, o meglio riscoprono, il valore della terra e della cultura contadina.

Una interessante esperienza è quella in atto nell'area montana del canale di Brenta, nel vicentino,  denominata "Adotta un terrazzamento".

Da un'idea sorta nel corso di una ricerca sul fenomeno del neo-ruralismo, condotta dall'Università di Padova, e' nato il progetto di istituzionalizzare l'adozione, da parte di privati, di terrazzamenti da tempo abbandonati.

Nell'agosto del 2010 rappresentanti delle Istituzioni locali, comunità locale, abitanti urbani e Università hanno costituito il comitato denominato "Adotta un terrazzamento in Canale di Brenta".

Compito principale del Comitato è stato quello di definire le regole del contratto di Comodato d'uso e della gestione degli appezzamenti di terreno da parte degli adottandi.

In sintesi, chi adotta il terreno si impegna a realizzare i lavori per il suo recupero e manutenzione a fronte della concessione gratuita dei terreni per cinque anni.

L'adottante potra utilizzare il legname prodotto con la pulizia dei terrazzamenti e potrà consumare e vendere tutto quello che il terreno potrà produrre.
Il contratto incoraggia il ripristino delle strutture esistenti con le tecniche tradizionali, culture di tipo biologico, l'originaria regimentazione delle acqua e uno specifico comma del Regolamento vieta di piazzare "nanetti" nei terrazzamenti adottati.

Oltre all'odozione diretta è anche possibile un'adozione a distanza  che , grazie al versamento di 15 euro/anno permette la copertura delle spese di lavori ordinari e straordinari di manutenzione e da diritto a visitare periodicamente il terreno adottato a distanza e poterne verificare il buono stato.

Alcuni dei terrazzamenti in affido e adottati a distanza nel 2011
Nel giugno 2013 erano già cento i terrazzamenti affidati a 91 nuovi soci, con una superfice complessiva superiore a 4 ettari.

I nuovi coltivatori arrivano dalla vicina pianura, ma anche da Vicenza, Padova e persino da Venezia; l'età prevalente è tra 50 e 65 anni, e non mancano i giovani con età compresa tra i 18 e i 35 anni.

E' interessante il fatto che il 50% degli affidatari è in possesso di un diploma superiore o di una laurea. E i terrazzamenti adottati producono ortaggi, uva o sono usati per ospitare alveari e prati permanenti.

Sembra che la cosa funzioni e certamente una simile inziativa è esportabile in altre realtà nazionali.

Io, nel frattempo, sto pensando seriamente di adottare a distanza un terrazzamento del Brenta.

Fateci un pensierino anche voi.

Sullo stesso argomento:
I terrazzamenti: la grande opera dimenticata 1)
I terrazzamenti liguri: la grande opera dimenticata  2)
I terrazzamenti: la tecnologia dimenticata 3) 

venerdì 28 novembre 2014

I terrazzamenti: la tecnologia dimenticata 3)


Basta una passeggiata sui nostri monti e un pò di attenzione per accorgersi che gran parte di essi sono terrazzati: muri in pietra che seguono le curve di livello e si dispiegano paralleli l'uno all'altro, separati da sottili fasce di terra in piano.


Le forme diseguali delle pietre grezze, l'assenza di cemento, l'attuale stato di abbandono possono suggerire che alla base della loro costruzione ci siano rozze tecniche primitive.



Non è così e la principale prova è l'età di questi manufatti: molte di queste opere sono state realizzate nell'alto medievo, millecinquecento anni or sono e da questa era remota sono arrivati sino a noi, ereditate, date in regalo, da una generazione all'altra, di fatto immodificate rispetto al momento della loro realizzazione, se non per l'ordinaria manutenzione.

La principale funzione dei terrazzamenti è di realizzare in zone acclivi, ma ben esposte al Sole,  terreni coltivabili dove far crescere la vite, l'ulivo, il grano, il fieno, gli ortaggi...

La realizzazione dei terrazzamenti inizia con il disboscamento, che in dialetto ligure si definisce "runca'", roncare, una parola molto antica.
 Il termine ronco, ormai utilizzato nella lingua corrente con il significato di podere terrazzato o colle, deriva infatti dal verbo latino runcare che significa disboscare, dissodare.  Quindi, tutte le località con il toponimo "Ronco" (Ronco Scrivia, Ronco Longo...) ci ricordano che qui c'erano boschi, appositamente tagliati in epoche remote per realizzare terrazzamenti da coltivare. 
FIG1 Schema della realizzazione di terrazzamenti

Finito il disboscamento,alla base del monte si realizza il primo muro a secco di contenimento, sul quale si appoggia il terreno di riporto scavato a monte (FIG. 1)

Durante questo scavo, che tende ad arrivare fino alla viva roccia, si recuperano i massi che saranno utilizzati per realizzare il secondo muro a secco.

Realizzato il primo terrazzamento, il lavoro prosegue verso l'alto, fino a raggiungere la parte di monte rocciosa non più coltivabile.

Ovviamente tutto questo lavoro è fatto a mano con picconi, pale e mazze per lavorare la pietra. Per il trasporto delle pietre e della terra sono usati animali da soma con appositi basti.

Come già detto, i muri di pietra sono a "secco", ossia realizzati senza l'uso di leganti quale calce o cemento. Questo ovviamente comporta una grande abilità ed esperienza delle maestranze che hanno tirato su questi muri, a volte definibili come ciclopici.
FIG 2  Dettagli costruttivi di un muro a secco

La Figura 2 mostra alcuni dettagli costruttivi dei muri a secco che spiegano la loro durata nel tempo.

Il muro è leggermente inclinato verso monte per meglio rispondere alle spinte verso l'esterno della terra e dell'acqua assorbita.

Le pietre più grandi sono utilizzate come base del muro e altrettanta cura è data alle pietre da porre sulla testa del muro.

 Dietro al paramento murario esterno si pone uno spesso strato di pietre e ciottoli con il compito fondamentale di drenare il flusso d'acqua e di ridurre la perdita di terra.

In questo modo, anche nel caso di forte piogge, i terrazzamenti non si imbibiscono d'acqua e quindi si evita che il peso della terra a monte provochi il crollo dei muri.

Sulla base del muro, per tutta la sua lunghezza, è realizzata una canaletta con lo scopo di raccogliere l'acqua drenata dal muro ed evitare che essa scorra lungo il pendio di terra ed eroda la preziosa terra, portandola via.

I terrazzamenti sono gli elementi più in vista di una complessa opera di trasformazione del territorio che comprende anche scale in pietra di accesso ai campi, canali per la regimentazioni e l'uso dell'acqua, cisterne, strade poderali e mulattiere, costruzioni in pietra per il rimessaggio degli attrezzi e riparo.

FIG. 3 Muro in aree ventose
I terrazzamenti sono anche un interessante esempio di bio architettura.

Ad esempio, in condizioni climatiche particolari, come le isole con forti venti di direzione dominante che potrebbero danneggiare le coltivazioni, i muri sono più alti del piano coltivato, con lo specifico scopo di creare una barriera frangivento.

Gli spessi muri in pietra, di solito orientati verso Sud,  hanno anche la funzione di accumulare energia solare sotto forma di calore e questo crea, lungo tutto il terrazzamento, un microclima utile per la migliore crescita e maturazione del raccolto.

Merita attenzione anche il fatto che i muri a secco offrono ospitalità a rettili, insetti, piccoli mammiferi e questo contribuisce alla tutela della biodiversità, ma anche a forme di lotta biologica.

Nelle zone più acclivi la coltivazione dei terrazzamenti è certamente penalizzata dalla difficoltà dei trasporti, specialmente dei carichi pesanti.

A questo problema l'ingegno contadino ha risposto con slitte da utilizzare d'inverno, ma ancor più con semplici funicolari, con lo sfruttamento della forza di gravità per trasportare a valle il legname e il carbone di legna.

Nelle Cinque Terre questa vecchia tradizione è stata aggiornata e oggi un "trenino" a cremagliera permette il facile trasporto delle ceste d'uva dai terrazzamenti al punto di raccolta.

Insomma, se vogliamo, i terrazzamenti possono continuare ad essere con noi e fornirci sicurezza e cibi di qualità.

Sullo stesso argomento:
I terrazzamenti: la grande opera dimenticata 1)
I terrazzamenti liguri: la grande opera dimenticata  2)

FIG. 4 Trenino a cremaliera sui terrazzamenti delle Cinque Terre.


martedì 18 novembre 2014

I terrazzamenti liguri: la grande opera dimenticata 2)

Aree montane terrazzate 
La Liguria è il territorio nazionale che ha la maggiore presenza di aree terrazzate che, da oltre un millennio, hanno permesso la coltivazione intensiva di olivi e viti,  in un territorio molto acclive.

In Liguria, la superfice terrazzata è di 373 chilometri quadrati, pari al 6,8% dell'intera superfice della regione e la lunghezza complessiva dei muri a secco liguri è di 40.000 chilometri (proprio così).

Il 25 ottobre del 2011, nel levante ligure (Cinque Terre) un violento nubifragio, in sei ore  ha riversato 542  millimetri di pioggia.

Al conseguente  "bombardamento" di oltre mezza tonnellata d'acqua per metro quadrato, la maggior parte dei terrazzamenti ancora coltivati a vite, hanno resistito.

Al contrario, molte delle frane che hanno contribuito alla distruzione di Vernazza e Monterosso si sono staccate dai terrazzamenti abbandonati.

Anche l'entroterra genovese è interessato da un esteso terrazzamento, sopravvissuto alla intensa urbanizzazione delle aree collinari.

In base a studi condotti nei primi anni 2000  e conclusi nel 2008 (progetto ALPTER ) il 15% dell'intero bacino del Bisagno (96 chilometri quadrati) è coperto da terrazzamenti, in gran parte in abbandono. 

Lo studio evidenziava che, nel 2007, i movimenti franosi interessavano con pari frequenza sia i terrazzamenti abbandonati che quelli ancora in uso.

Quale ruolo abbiano avuto i terrazzamenti della val Bisagno, nelle disastrose alluvioni el 2011 e del 2014 non risulta essere stato oggetto di valutazioni, ma la diversa risposta ai nubifragi dei terrazzamenti in uso nelle  Cinque Terre e nella Val Bisagno, potrebbe avere una spiegazione.

I terrazzamenti delle Cinque Terre sono gestiti prevalentemente da imprese agricole e gli interventi di manutenzione sono presumibilmente effettuati con maggiore perizia di quelli genovesi a gestione famigliare.

E non seguire le precise regole per riparare i muretti, magari ricorrendo al più facile cemento per tenere su i muri, può fare la differenza.

La costruzione e la manutenzione dei muri a secco, utilizzati per creare superfici di terra pianeggianti dove coltivare vite ed ulivo è una vera e propria arte, difficile da imparare e realizzare ma che, una volta messa in atto, testimonia il fatto che la "sostenibilità",  la durata nel tempo in equilibrio con le risorse e con eventi meteoclimatici estremi, sia possibile.

Per chi voglia saperne di più, consiglio la lettura il "Manuale per la costruzione dei muretti a secco" edito a cura del Parco delle Cinque Terre.

Vi renderete conto della grande perizia che è stata applicata nella realizzazione di questa opera ciclopica.

Perizia che sarà opportuno riscoprire per applicarla alla nuova Grandissima Opera: la messa in sicurezza e in produzione dei 40.000 chilometri di "fasce" liguri.

domenica 16 novembre 2014

I terrazzamenti: la grande opera dimenticata 1)


La Liguria è un territorio fatto a terrazze.

Terrazze artificiali, tirate su a forza di braccia, a partire dall'anno mille, con i monaci a lavorare e a dirigere i lavori e con milioni di uomini e donne che, secolo dopo secolo, fino agli anni del primo dopoguerra, hanno garantito la loro manutenzione e il loro utilizzo per produrre vino, olive, grano, ortaggi.

Una grandissima opera, giunta sino a noi praticamente intatta.

E un'opera ciclopica, più grande della Grande Muraglia cinese: nelle sole "Cinque Terre" ci sono 5.729 chilometri di terrazzamenti o "fasce", come si chiamano da queste  parti.

Ma quando i 150.000 agricoltori  ancora presenti ed attivi su monti e colline liguri negli anni '50, si sono ridotti agli attuali 14.000, con l'abbandono è cominciato il dissesto e con esso frane, smottamenti, alluvioni sempre più disastrose, come quelle che ques'anno, ancora una volta, più volte, hanno distrutto e ucciso, colpendo quasi tutta la costa ligure.

E proprio questo abbandono è la causa del fatto che il 98% dei comuni liguri sia ad alta criticità idrogeologica.

Ma su una cosa nessuno ha dubbi: i terrazzamenti sono una salvaguardia del territorio in quanto diminuscono l'acclività dei versanti, riducono l'erosione del terreno, rallentano i flussi di acqua nel corso di eventi meteorologi estremi, assorbono grandi quantità d'acqua ,regolandone il regime.

Invece è l'abbandono dei terrazzamenti, con la crescita spontanea di alberi e la conseguente instabilità dei muri a secco, la causa principale dell'attuale dissesto, come ha dimostrato uno studio effettuato subito dopo i luttuosi eventi dell' ottobre del 2011 che hanno portato morte e distruzione a Monterosso e Vernazza ed attivato ben 88 frane in pochi chilometri quadrati di territorio, colpito dal nubifragio.

FIG. 1: Uso del suolo nelle zone di distacco delle frane avvenute con l'alluvione del nov 2011 nelle Cinque Terre
Lo studio ha verificato che il 48% di queste frane sono avvenute in corrispondenza di terrazzamenti abbandonati e, altrettante (44%), in aree boscate non gestite, anche a causa dell'elevata acclività di queste aree.

Invece, le aree meno interessate da frane (dal 2 al 3 %) sono state quelle in corrispondenza dei terrazzamenti coltivati a vite. E, nelle maggior parte di questi casi, le frane sono partite dal margine dei terrazzamenti, in corrispondenza di aree boscate, a conferma della stabilità al terreno fornita da terrazzamenti coltivati.

Infatti, nei terrazzamenti abbandonati e ricoperti di arbusti, le cui radici rendono instabili i muretti, gli eventi franosi sono risultati di maggiore frequenza, circa triplicati  (11%).

FIG 2. Foto aerea del 2006 e la stessa zona dopo l'alluvione del 2011.
La Figura 2 mostra due eventi franosi (F1 e F2) avvenuti nelle Cinque Terre,  in corrispondenza di terrazzamenti recentemente abbandonati.

Lo studio ha anche verificato che l'8% delle frane sono avvenute per cedimento delle scarpate, a valle delle strade (Figura 3), eventi che sottolineano l'importanza di una buona progettazione ed una altrettantanta buona manutenzione delle vie di accesso dei monti.

FIG 3. Due frane dovute a cedimento della scarpata a valle della strada (Cinque Terre)

Tutto questo ha un significato ben preciso che il popolo ligure deve avere ben chiaro: se la Liguria e Genova in particolare, vorrà evitare o ridurre i danni dei prossimi nubifragi, sarebbe meglio che cominciasse a ritornare con lo sguardo e con le opere, ai suoi monti, alle sue "fasce" da recuperare e far ritornare a dare frutti.

Ne parleremo nel possimo post.

lunedì 10 novembre 2014

La Svezia costretta ad importare rifiuti per non morir di freddo.



La Svezia (nove milioni di abitanti) ha in funzione trentadue  inceneritori alimentati con rifiuti, che producono contemporaneamente calore ed elettricità.

Con il calore prodotto in questo modo, il 20% della popolazione svedese riscalda le proprie case, durante il lungo e freddo inverno che caratterizza le loro latitudini e l'elettricità copre i consumi di 250.000 abitazioni.

Un esempio di successo, una scelta da esportare negli altri paesi d'Europa, compreso il nostro?

Così sembrerebbe, vista la rinnovata euforia degli inceneritoristi nostrani, dopo il regalo che gli  ha fatto il governo Renzi che,  con il decreto "sbloccaitalia", ha promosso i termovalorizzatori a scelta stretegica nazionale.

Ma chi plaude al modello svedese e auspica il proliferare di termovalorizzatori in tutte le regioni italiane, non racconta tutta la storia.

Ad esempio,  quanti sanno che nel 2006, con già trenta inceneritori in funzione, il governo svedese aveva deciso di tassare la termovalorizzazione dei rifiuti urbani?

In base alle dichiarazione del Ministro delle Finanze svedese, questa tassazione a carico della componente "fossile" dei rifiuti (plastiche miste), aveva l'obiettivo di incentivare la raccolta differenziata e il riciclo dei materiali e i trattamenti biologici degli scarti organici, finalizzati a produrre compost, metodi ritenuti migliori, ai fini della conservazione di risorse e del risparmio energetico.

Nel 2010 la tassa sull'incenerimento è stata abolita in quanto, in base alle dichiarazioni ufficiali,  si è ritenuto che questa scelta non sia stata utile per il raggiungimento degli obiettivi prefissati dal governo, in particolare quella di favorire il riciclo dei materiali. Ma anche questa scelta merita di essere meglio analizzata.

In quell'anno, in realtà, la Svezia riciclava e compostava il 49% dei suoi scarti, un risultato di tutto rispetto, specialmente se confrontato con il 33% di riciclo e compostaggio registrati in Italia.

Inoltre, sempre nel 2010, il governo svedese, per promuovere il riciclo della frazione organica,  introduceva l'esenzione di tasse sulla vendita e l'immissione in rete di biometano prodotto con la raffinazione del biogas (miscela di metano ed anidride carbonica) prodotto dalla fermentazione anaerobica degli scarti organici.

Infine, nel 2012 l'AgenziaSvedese per l'Ambiente elaborava un nuovo piano nazionale per la gestione dei Materiali Post Consumo, in accordo con le indicazioni della Unione Europea.

In questo Piano, il trattamento delle frazioni organiche prevedeva che almeno il 50% degli scarti di cibo fosse trattato con tecniche biologiche (compostaggio) per uso agricolo del compost prodotto e che il 40% di questi scarti fosse utilizzato anche per produrre biometano da usare per l'autotrazione o da immettere nella rete di distribuzione del gas.

Sono importanti scelte politiche che i nostrani amici degli inceneritori si guardano bene di segnalare.

Dal 2005, la quantità di rifiuti che la Svezia incenerisce (49%) e avvia al riciclo (49%) è sostanzialmente costante mentre si è costantemente ridotta la frazione di scarti avviati a discarica, arrivata all'1% della produzione, nel 2010.

I trattamenti biologici delle frazioni organiche, raccolte in modo differenziato nel 60% dei comuni svedesi, sono in costante crescita e, nel 2011, il 15% di tutti i rifiuti svedesi erano trattati con compostaggio e digestione anaerobica, valori confrontabili con quelli italiani.

La Figura 1 mostra l'andamento dei trattamenti adottati in Svezia, a partire dal 1976, per la gestione dei propri scarti.

La Figura evidenzia come il principale risultato delle politiche Svedesi, che fin dal 2000 aveva introdotto pesanti tasse per la messa in discarica di residui con alto potere calorifico e  delle frazioni organiche, abbia fortemente ridotto l'uso della discarica, a favore del recupero energetico tramite combustione, ancora oggi il principale sistema di smaltimento.

Quello che non sembra funzionare in Svezia è il riciclo dei materiali che, nel 2006, smette di crescere e negli anni successivi mostra una tendenza alla riduzione.


FIG 2: gestione dei rifiuti urbani svedesi dal 1975 al 2012


Quest' andamento merita di essere correttamente interpretato.

Infatti ci potrebbe essere anche un altro motivo per spiegare la decisione di abolire, nel 2010, la tassa sull'incenerimento dei rifiuti: gli svedesi stavano riciclando più del previsto e in questo modo lasciavano a "bocca asciutta" i loro inceneritori.

Insomma, un'eccessivo riciclaggio degli scarti con elevato potere calorifico (carta, plastica) avrebbe costretto al freddo molti svedesi, in quanto i 32  inceneritori non avrebbero avuto a disposizione tutto il combustibile necessario per affrontare i freddi inverni del Nord.

Pertanto, a causa delle sue scelte energetiche, avviate negli anni '80, incentrate sulla produzione di calore ed elettricità dai rifiuti, la Svezia, da qualche anno, si trova nella singolare condizione di dover importare rifiuti se vuole continuare a fornire calore ai suoi abitanti.

Attualmente, la Svezia importa 813 mila tonnellate all'anno di rifiuti da utilizzare  nei suo inceneritori con recupero di calore ed energia elettrica.
Il maggiore fornitore di rifiuti è la vicina Norvegia (152.000 ton/anno), ma rifiuti arrivano anche da altri paesi europei, compresa l'Italia.

La Norvegia paga per questo servizio e, in sovrappiù, si accolla lo smaltimento delle ceneri prodotte con i suoi rifiuti. Ceneri tossiche, a causa della loro pesante contaminazione da metalli pesanti e diossine che la Svezia rimanda al mittente, guardandosi bene dal doverle inertizzare e smaltire nel proprio territorio.

E ovvio che anche la Norvegia abbia il suo tornaconto in questo scambio, trovando più economico per lei far fare il lavoro "sporco" e costoso ai suoi vicini, senza accollarsi il pesante costo finanziario della costruzione e gestione di inceneritori.

Per il momento questa gestione funziona e, grazie ai rifiuti propri ed altrui, gli Svedesi stanno al caldo ma i tecnici del settore sanno che non potrà continure così.

Sempre più paesi, insieme alla Unione Europea, stanno scoprendo come sia più conveniente, ambientalmente, ma anche dal punto di vista energetico e occupazionale, riciclare e compostare i propri materiali di scarto e avviarli in nuovi processi produttivi finalizzati all'uso delle materie recuperate.
E obiettivi di riciclo dei materiali superiori al 70% sono tecnicamente ed economicamente praticabili.

Pertanto, prima o dopo, quando gli investimenti dei termovalorizzatori saranno stati ammortizzati, gli Svedesi, per riscaldarsi, dovranno inventarsi qualche altra soluzione.

Riscaldarsi, bruciando "corone svedesi" non è proprio una furbata!

Invece l'Italia, senza la palla al piede di un grande parco di termovalorizzatori da tenere in funzione, può più facilmente  avviare la scelta virtuosa dell'economia circolare, fondata sul riciclo dei materiali.

Nonostante quello che il Governo Renzi pensi, l 'Economia Circolare è la vera scelta strategica, di interesse nazionale, in grado di garantire nuove e stabili opportunità di lavoro, elevati risparmi energetici, bassi impatti ambientali e sanitari.

Una scelta che certamente la Svezia ci invidierà.

Sullo stesso argomento:








mercoledì 5 novembre 2014

L'anidride carbonica sale e l'ossigeno scende. Ci dobbiamo preoccupare?

FIG 1. Andamento della concentrazione di anidride carbonica e di ossigeno nell'atmosfera terrestre dal 1958 al 2007
Poichè la Terra è un sistema chiuso e la Chimica non è un'opinione, bruciare combustibili aumenta la concentrazione di anidride carbonica della atmosfera del nostro Pianeta e inevitabilmente diminuisce la concentrazione di ossigeno. La Figura 1 sintetizza i risultati delle misure sperimentali dei due fenomeni.

La Figura 2 esemplifica la reazione che avviene quando si brucia l'isottano, uno dei tanti  idrocarburi presenti nelle benzine,  e un pezzo (monomero) di cellulosa di un tronco d'albero.

In entrambi i casi gli atomi di carbonio (C) e di idrogeno (H) presenti in questi due combustibili reagiscono con l'ossigeno dell'aria (O) per formare anidride carbonica e acqua. E da queste reazioni si sviluppa calore che sfruttiamo per muovere la macchina e per riscaldare casa.


FIG 2. Reazione di ossidazione di isoottano e cellulosa

Come si può vedere, per ogni molecola di idrocarburo e per ogni monomero di cellulosa, diverse molecole di ossigeno sono sottratte all'atmosfera.


FIG 3 Attuale composizione chimica dell'atmosfera terrestre
 L'aria che respiriamo contiene circa il 21% di ossigeno, il gas più abbondante subito dopo l'azoto,  e questa quantità, da qualche centinaia di milioni di anni, è in equilibrio tra quanto ossigeno producono piante e alghe, a partire dall'acqua, grazie alla sintesi clorifilliana, e quanto ossigeno consumano tutti gli altri esseri viventi e le stesse piante, nelle ore notturne.

Ma non è sempre stato così.

Per miliardi di anni l'atmosfera della Terra non conteneva ossigeno libero (FIG 4) ed era fatta solo di metano, anidride carbonica, azoto.

In queste condizioni, per noi proibitive, c'erano comunque forme di vita batteriche in grado di riprodursi in assenza di ossigeno. 

Poi, circa due miliardi e mezzo di anni fa, sono comparsi i primi organismi, alghe, in grado di trasformare l'energia solare in energia chimica.

Sotto prodotto di questa reazione era ed è l'ossigeno, molecola molto reattiva, un vero e proprio veleno per i vecchi batteri anaerobi, ma una vera pozione magica, una carica energetica per le nuove forme di vita che avevano imparato ad utilizzare l'ossigeno come comburente del loro cibo.

Con il Carbonifero (tra 318 e 359 milioni di anni fa)  e la concomitante esplosione di vegetali a coprire le terre emerse e a popolare i mari,  l'ossigeno in atmosfera raggiunse il suo valore massimo (circa 30%) per poi scendere ai valori attuali, anche grazie al fatto che i movimenti tettonici e catastrofici eventi climatici sottraevano una grande quantità di quei antichi vegetali alla naturale ossidazione di fine vita, da parte dei batteri.

FIG. 4. Pressione parziale di ossigeno nell'atmosfera terrestre da 3,85 miliardi di anni fa ad oggi

Dopo qualche centinaio di milioni di anni di sepoltura nelle viscere della Terra, la specie vivente che si è autodefinita "Homo Sapiens", da circa 200 anni, ha scoperto il valore energetico di carbone, petrolio, metano e con la loro combustione consuma l'ossigeno dell'aria, senza che ci siano nuove piante in fase di crescita, in grado di produrre nuovo ossigeno.

FIG 5 Andamento dei consumi mondiali di energia e fonti dal 1820 ad oggi


E in un battere di ciglia, sulla scala dei tempi geologici, stiamo cambiando la composizione chimica dell'aria del Pianeta che momentaneamente ci ospita.


FIG. 6  Concentrazioni mensili e medie annuali di CO2 a Mauna Loa, dal 2010 a ottobre 2014

Le misure della concentrazione di anidride carbonica effettuate sull'isola di Mauna Loa, sulla cima di un vecchio vulcano, a 4000 metri di altezza sul mare e in pieno Oceano Pacifico, dimostrano senza ombra di dubbio un aumento costante della concentrazione di anidride carbonica (FIG 1-6).

All'inizio delle misurazioni (1958) la concentrazione media annuale di anidride carbonica  era di 316 parti per milione (ppm), nell'ottobre di quest'anno si sono misurati 398 parti per milione.

Quest'aumento è certamente da attribuire all' uso energetico di combustibili fossili e alla deforestazione in atto in Amazzonia e nelle isole del Borneo.

FIG 7. Andamento della concentrazione di ossigeno in atmosfera in Australia e negli USA (1991-2014)


A partire dai primi anni novanta, le misure di ossigeno nell'aria, effettuate in diverse località del Pianeta, mostravano, come l'anidride carbonica, un costante andamento stagionale.
Le massime concentrazioni di ossigeno si registrano durante il periodo estivo (massima attività foto-sintetica dei vegetali) e le concentrazioni minime corrispondono al periodo autunnale in cui diminuisce l'azione fotosintetica delle piante mentre è massima l'attivita degradativa dei batteri a carico della biomassa giunta alla fine del suo ciclo vitale.

Tuttavia, come mostra la Figura 7, le misure di ossigeno registrano anche un costante decremento, anno dopo anno, delle medie annuali, segno che il bilancio dell'ossigeno non è in equilibrio: ogni anno se ne consuma di più di quello che le piante e le alghe immettono in atmosfera.

I conti confermano che l'ossigeno che manca è proprio quello che, nello stesso periodo, si unisce al carbonio e all'idrogeno, quando bruciamo combustibili fossili e foreste.

Indicativamente,  per ogni molecola di anidride carbonica che, a causa delle nostre scelte energetiche e di consumo, si accumula in atmosfera, tre molecole di ossigeno sono sottratte ai polmoni e alle branchie di tutti gli esseri viventi.

In soldoni,  in soli due secoli di crescita (quelli dalla Rivoluzione Industriale di fine '700 ad oggi) la concentrazione di ossigeno del nostro Pianeta si è ridotta dello 0,095%.

Grazie alla grande quantità di ossigeno che le piante ci hanno messo a disposizione nel corso di centinaia  di milioni di anni, non corriamo il rischio di morire asfissiati.

Ma, se ci riflettete bene, è il caso di preoccuparsi seriamente, in quanto è evidente che i nostri destini sono in mano a dei pericolosi apprendisti stregoni che, in nome della crescita continua,  deliberatamente ignorano i delicati equilibri che permettono alla Terra di essere un Pianeta Vivente.