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lunedì 30 giugno 2014

Navi da rottamare

Tra qualche ora sapremo in quale porto arriverà il relitto della Costa Concordia, quale sarà il suo ultimo viaggio, prima della demolizione.

Non so se lo avete notato.
Quando una nuova nave è varata, ci sono sempre cerimonie pubbliche con presenza delle autorità,  un prete che benedice il vascello e una madrina che taglia il fatidico nastro, con immancabile rottura della bottiglia di champagne sulla prua della nuova nave.

Invece, quando una nave arriva alla fine della sua carriera nulla si sa della sua fine.

Esiste un cimitero delle navi in disarmo?

La risposta è positiva e l'immagine satellitare qui a fianco vi fa vedere come appare, questo cimitero, visto dall'alto.

Siamo sulla costa del Bangladesh, nei pressi di Chittagong.

Se fate una ricerca su Google Map, non sarà difficile trovare un'immagine come questa e vedere decine e decine di navi di qualunque stazza e tipo arenate su i bassi fondali fangosi che ancora qualche anno fa ospitavano una ricca foresta di mangrovie.

Qui si trovano una ottantina di aziende "specializzate" nella rottamazione delle navi, navi che hnno battuto le bandiere più diverse, provenienti da ogni parte del mondo.

Nel 2013 le navi rottamate in questo luogo sono state 194

Il motivo di questo assembramento di navi da demolire è banale: agli armatori questa operazione costa molto poco.

Non ci sono da pagare bacini di carenaggio dove mettere a secco le navi, non ci sono gru o mezzi pesanti per il trasporto delle lamiere, non ci sono controlli ambientali e ancor meno ci sono spese per garantire la sicurezza dei lavoratori( indumenti protettivi, aspiratori fumi, maschere antigas...).

E ovviamente le paghe di chi lavora qui, compresi ragazzi di 14 anni che non ancora cresciuti possono infilarsi nelle viscere anguste di queste grandi navi, sono tra le più basse al mondo.

E se gli armatori risparmiano, i gestori fanno lauti guadagni riciclando oltre il 90% dei materiali utilizzati per la costruzione della nave, lamiere di acciaio, eliche, motori, batterie, generatori, scialuppe di salvataggio. Tutti i serbatoi sono vuotati e gasolio, olio dei motori, liquidi antincendio recuperati e venduti.

Sarebbe un interessante recupero di materia se la contropartita non fosse un alta mortalità dei lavoratori per incidenti e malattie professionali, un pesante inquinamento delle acque costiere con i residui degli oli motori, e dei combustibili, vernici antivegetative, amianto.

Pesanti extra-costi che pagano i lavoratori, le popolazioni vicine, ma indirettamente anche noi, in quanto a poche centinaia di metri dalle navi in demolizione si allevano pesci e gamberetti che non è escluso che, grazie alla globalizzazione, arrivino anche nei nostri piatti.


Tra qualche ora si saprà se la Costa Condordia sarà rottamata a Genova o a Piombino.

Le due città, entrambe in astinenza di lavoro, si contendono la "preda".

Per entrambe, la tentazione di risparmiare sulla sicurezza e sui controlli sarà sicuramente forte.

Occorre vigilare affinchè la guardia non si abbassi e possa calare il sipario su questa brutta storia italiana, per lo meno, con la dimostrazione che nel nostro Paese sappiamo come si può rottamare una nave senza creare problemi ai lavoratori, al mare e alle sue creature e alla popolazione della città che ospiterà il relitto.




domenica 29 giugno 2014

TISA: un accordo su commercio e servizi fatto a nostra insaputa e contro i nostri interessi.


 

L'allegato articolo di Marco Bersani (Attac Italia) potrebbe sembrare non in linea con gli argomenti trattati da questo Blog (ambiente e salute, sviluppo durevole... ).
In realtà, va alla radice di questi problemi  e molto probabilmente permette di capire molte delle cose strane che, a nostra insaputa, ci stanno arrivando tra capo e collo: privatizzazioni dei beni comuni, attacco alla democrazia, ai diritti civili, alle conquiste sociali ...

TISA: IL CONTRARIO DI PUBBLICO E’ SEGRETO
di Marco Bersani (Attac Italia)

Come se non bastasse il Partenariato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti (TTIP), ovvero il negoziato, condotto in assoluta segretezza, fra Usa e Ue per costituire la più grande area di libero scambio del pianeta, realizzando l’utopia delle multinazionali, un nuovo attacco ai beni comuni, ai diritti e alla democrazia è in corso con il TISA (Trade In Service Agreement), un nuovo trattato, della cui esistenza si è venuti a conoscenza solo grazie ai “fuorilegge” di Wikileaks..
Si tratta –per quel che sinora è filtrato dalle segrete stanze- di un negoziato, che riprende in molte parti il fallito Accordo generale sul commercio e i servizi (Agcs), discusso per oltre 10 anni e con durissime contestazioni di piazza all’interno dell’Organizzazione Mondiale del Commercio.
Fallito quello che doveva essere un accordo globale, le grandi elite politico-finanziarie hanno da tempo optato per accordi tra singoli paesi o per aree, dove far rientrare dalla finestra, grazie all’assoluta opacità con cui vengono condotti gli stessi, ciò che le mobilitazioni sociali dei movimenti altermondialisti avevano cacciato dalla porta.
A sedere al tavolo delle trattative per il nuovo trattato sono i paesi che hanno i mercati del settore servizi più grandi del mondo: Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda, Canada, i 28 paesi dell'Unione Europea, più Svizzera, Islanda, Norvegia, Liechtenstein, Israele, Turchia, Taiwan, Hong Kong, Corea del Sud, Giappone, Pakistan, Panama, Perù, Paraguay, Cile, Colombia, Messico e Costa Rica. Con interessi enormi in ballo: il settore servizi è il più grande per posti di lavoro nel mondo e produce il 70 per cento del prodotto interno lordo globale; solo negli Stati Uniti rappresenta il 75 per cento dell'economia e genera l'80 per cento dei posti di lavoro del settore privato.
L’aspetto più incredibile di quanto rivelato dai documenti in possesso di Wikileaks è il fatto di come, non solo il negoziato si svolga in totale spregio di alcun diritto all’informazione da parte dei cittadini, bensì sia previsto, fra le disposizioni contenute, l’impegno da parte degli Stati partecipanti a non rivelare alcunché fino a cinque anni dopo la sua approvazione!
Una nuova ondata di liberalizzazioni e di privatizzazione di tutti i servizi pubblici si sta dunque preparando e, non a caso, la prima tappa di questa trattativa –avvenuta nell’aprile scorso e finita nelle provvidenziali mani di Wikileaks- ha riguardato la liberalizzazione dei servizi e prodotti finanziari, dei servizi bancari e dei prodotti assicurativi: non sia mai che la crisi, provocata esattamente dalle banche e dai fondi finanziari, rimetta in discussione la totale libertà di movimento e di investimento dei capitali finanziari in ogni angolo del pianeta.
Per quel che si è riusciti a sapere, proprio in questi giorni si sta svolgendo un secondo incontro ed è assolutamente evidente come ad ogni tappa verrà posta l’attenzione su un settore di servizi, fino a comprenderli tutti: dall’acqua all’energia, dalla sanità alla scuola, dai trasporti alla previdenza.
Un mondo da mettere in vendita, attraverso la trappola del debito pubblico e le politiche di austerità, attraverso il TTIP e il TISA, per permettere al modello capitalistico di uscire dalla crisi sistemica, con un rilancio dei mercati finanziari, che, dopo aver investito l'economia, ora hanno puntato gli occhi sulla società e la vita, sui diritti, i beni comuni e la natura.
Per farlo, devono sottrarsi ad ogni elementare regola di democrazia e rifugiarsi nella segretezza: ma come i vampiri della notte non reggono la luce del giorno, così i piani delle elite politico-finanziarie possono essere sconfitti da una capillare informazione e da una ampia e determinata mobilitazione sociale. E' ora di muoversi.

mercoledì 25 giugno 2014

Il bio-metano ci potrebbe dare una mano

Nel 2012, gli italiani hanno scartato 11,3 milioni di tonnellate di avanzi di cibo, scarti di cucina, sfalci d'erba, corrispondente ad oltre il 30% dell'intera quantità dei cosidetti rifiuti urbani.

Quali sarebbero i bilanci di materia se tutte queste frazioni organiche venissero inviate ad impianti di digestione anaerobica, finalizzati a produrre compost e biometano di purezza idonea all'immissione nella rete di distribuzione del gas?

Se si da  da "mangiare" ai batteri anaerobi (chiamati in questo modo, in quanto per loro l'ossigeno dell'aria è un veleno) una tonnellata di organico, si ottengono circa 120 metri cubi di una miscela di gas (biogas), prodotti dall'attività metabolica di questo pasto pantagruelico.

Tramite raffinazione, dal biogas si ottengono 72 metri cubi di metano, con purezza superiore al 97%.

Gli altri gas sono, in prevalenza, anidride carbonica e vapor acqueo e, in minore quantità idrogeno solforato e ammoniaca.

A questo metano, fresco di giornata, è stato dato il nome di biometano, per distinguerlo dal metano fossile, identico per formula chimica (CH4) , ma vecchio di qualche centinaia di milioni di anni e formatosi nelle viscere della Terra, ad opera degli stessi batteri anaerobi, a partire da piante e animali, altrettanto antichi.

Pertanto, dagli 11,3 milioni di tonnellate di prodotti organici che ogni anno gli abitanti del nostro Paese scartano, si potrebbero produrre circa 814 milioni di metri cubi di bio-metano.

Tanti?  Pochi?

Nel 2011, in Italia, il consumo annuale di metano per uso cucina e per la produzione di acqua calda per bagno e doccia è stimabile pari a 770 milioni di metri cubi. Quello stesso anno (il più recente nelle stime ufficiali) il consumo di metano per autotrazione è stato di 882 milioni di metri cubi.

Pertanto,  il biometano prodotto per gestire la produzione urbana di rifiuti organici  (FORSU) , 814milioni metri cubi, sarebbe in grado di coprire  tutti i consumi domestici nazionali per usi cucina e per la doccia, oppure tutti i consumi per l'autotrasporto.

Con il rischio che il metano non ci arrivi più dalla Russia, visto quello che sta succedendo in Ucraina, una completa autonomia energetica nel settore domestico o del trasporto, grazie ad un adeguato trattamento dei nostri rifiuti organici, non mi sembra che sia una opportunità da trascurare.

Se poi si considerano tutti i consumi nazionali di metano, esclusi quelli per la produzione di elettricità,  i consumi  nazionali (2011) sono pari a 31,2 miliardi di metri cubi/anno.

In questo caso, la produzione di biometano coprirebbe il 2,6% di questi consumi, un valore che, ancora una volta,  ho difficoltà a valutare trascurabile, specialmente se si tiene conto di altre importanti caratteristiche di questo combustibile.

Il metano e il biometano si possono immagazzinare nei periodi di minor consumo, la loro produzione è costante tutto l'anno, sono una fonte di energia certamente rinnovabile e la materia prima ( scarti organici) è una produzione nazionale.

Il metano e il biometano, si possono mescolare e insieme possono viaggiare, senza problemi, dal punto di produzione a quello del consumo, tramite una articolata infrstruttura già esistente (rete di distribuzione del gas) che interconnette l'intera Europa; la loro combustione non produce ceneri da smaltire e, a parità di energia prodotta,  entrambi emettono la minor quantità di inquinanti (prevalentemente ossidi di azoto e polveri fini) rispetto agli altri combustibili liquidi e solidi (gasolio, carbone, legna).

Da non sottovalutare l'elevata flessibilità degli usi energetici del metano e del biometano che possono essere usati per produrre calore per usi domestici e industriali, possono essere utilizzati per la cogenerazione di elettricità e calore anche a scala domestica, possono essere utilizzati per autotrazione sia di mezzi leggeri che pesanti.

Infine, vorrei ricordare che insieme a 814 milioni metri cubi di biometano, la scelta della digestione anerobica con compostaggio del digestato (residuo semisolido della digestione anaerobica) ci metterebbe a disposizione 1,7 milioni di tonnellate di compost, idoneo per uso agricolo e 1,2 milioni di tonnellate di CO2, dalla raffinazione del biogas, a un interessante livello di purezza, compatibile con gli usi industriali di questo gas: refrigerante ( ghiaccio secco) , fertilizzante gassoso nelle colture in serra, estintori.

Per doveroso confronto, se tutta la FORSU nazionale fosse compostata,  la quantità di compost prodotta sarebbe il doppio (3,4 milioni di tonnellate ) e circa 2 milioni di tonnellate di CO2 (prodotto di degradazione del compostaggio) sarebbero dispersi in atmosfera.

Per concludere, questo scenario, con la sostituzione di 814 milioni di metano fossile con uguale volume di metano "fresco" e certamente rinnovabile, alla luce dei dati oggi disponibili, non modificherebbe l'attuale quadro emissivo dovuto alla combustione di metano.

Ovviamente, il biometano in rete non pone nessun ostacolo alla contemporanea realizzazione di politiche di incremento della efficenza energetica, specialmente nel riscaldamento domestico, tali da comportare, a parità di confort,  una netta riduzione degli attuali consumi di metano e quindi delle emissioni pericolose per la salute, prodotte dalla sua combustione.

E di pari passo con la riduzione dei consumi di metano, grazie ad adeguate politiche di incentivazione degli isolamenti termici degli edifici, di maggiore efficenza nella produzione di energia e nei consumi, di riduzione delle perdite di rete, l'auto produzione di biometano potrebbe avrebbe un ruolo crescente nella bilancia energetica nazionale.




mercoledì 18 giugno 2014

Il compost va alla Bocconi.



Una recente ricerca realizzata dalla SDA Bocconi School of Management, ha evidenziato che la raccolta differenziata di umido (FORSU) e scarto verde rappresenta oggi il primo settore di recupero di rifiuti urbani in Italia, con 4,8 milioni di tonnellate trattate nel 2012, pari al 40% dei rifiuti urbani raccolti in modo differenziato, in 252 impianti di compostaggio e 27 impianti di digestione anaerobica.
Ad oggi la raccolta dell’umido interessa circa 4.200 comuni italiani, con circa 34 milioni di abitanti coinvolti. Se la raccolta della frazione umida venisse estesa a tutti i comuni italiani, la quantità di materiale raccolto potrebbe quasi raddoppiare, passando a 8,6 milioni di tonnellate; ciò comporterebbe un aumento del numero di impianti di compostaggio e digestione anaerobica (ne servirebbero altri 75).

 A ciò vanno aggiunti i vantaggi ambientali (la raccolta di 8,6 milioni di tonnellate di organico comporterebbe complessivamente una riduzione delle emissioni annue di CO2 compresa tra 5,3 e 7,7 milioni di tonnellate), e i benefici economici e occupazionali che la filiera dell’organico determina (gli occupati del settore arriverebbero a 3600 addetti).
Iniziata negli anni ’90, il settore della raccolta differenziata delle frazioni organiche e del loro recupero mediante compostaggio ha conosciuto una crescita annua costante. In 20 anni in Italia sono state recuperate negli impianti di compostaggio circa 42 milioni di tonnellate di scarti organici e sono state prodotte circa 15 milioni di tonnellate compost di qualità. 

La quantità di frazione organica trattata negli impianti di compostaggio è cresciuta di pari passo con l’estensione della raccolta differenziata dello scarto di cucina e dello scarto verde; le due frazioni insieme rappresentano mediamente l’80% degli scarti organici trattati negli impianti di compostaggio. 

La filiera dell’organico racchiude, dunque, grandi potenzialità di sviluppo anche se ci sono ancora alcuni problemi da risolvere prima fra tutti l’uso dei sacchetti non compostabili per conferire i rifiuti organici. Gli imballaggi plastici, tra cui i sacchetti in polietilene illegali da qualche anno, rappresentano infatti  il 60-70% del totale dei materiali non compostabili rinvenuti all’interno delle raccolte (Fonte Cic 2013).
La media italiana di materiali non conformi presenti nella raccolta dell’umido è pari al 5,4% e le 215 mila tonnellate di “impurità” presenti nella frazione organica in ingresso in impianti di compostaggio e digestione hanno un costo annuo di smaltimento di circa 42 milioni di euro. 

Nel momento in cui tutta la frazione organica raccolta venisse trattata i costi salirebbero a 51 milioni di euro, che potrebbero essere evitati se venissero applicate le sanzioni previste dalla normativa che ha bandito i sacchetti non compostabili ormai da qualche anno. 

In aggiunta, rispettando il bando sugli shopper non compostabili, si libererebbero anche risorse economiche che potrebbero essere destinate alla realizzazione di un sistema di comunicazione efficace in grado di ridurre le inefficienze della raccolta causate dalla presenza di materiali non compostabili.

sabato 14 giugno 2014

E la CO2 va su e sfonda i 400 ppm.

Figura 1. Andamento concentrazione CO2 registrato a Mauna Loa dal 1960 a Giugno 2014

A fine maggio del 2014, l'osservatorio di Mauna Loa, a 4000 metri sul livello del mare nel mezzo dell'Oceano Pacifico, ha constatato che la concentrazione di anidride carbonica (CO2) del nostro Pianeta ha superato 400 parti per milione, più precisamente è arrivata a quota 401,8.

Ciò significa che il 31 maggio 2014, in un milione di molecole di aria del nostro Pianeta,  401,8 molecole sono di anidride carbonica.

Il 31 maggio del 2013, un anno prima, lo stesso osservatorio registrava 399,7 parti per milione di CO2.

Come mostra la Figura 1, dalla fine degli anni '50, quando si è comincito a fare queste misure, ad oggi la concentrazione di CO2 è sempre aumentata, anno, dopo anno.

Figura 2. Crescita annuale della concentrazione di CO2
Come è noto a tutti, la CO2 è un sottoprodotto di tutte le combustioni e, rispetto alle radiazioni solari, ha un effetto simile a quello dei vetri di una serra: più CO2 c'è nell'aria, più calore solare si accumula nell'atmosfera, negli oceani, nelle terre emerse del Pianeta.

La Figura 2 mostra come sia variata nel tempo la crescita annuale di questo gas: la differenza delle concentrazioni tra un anno e quello successivo è andata costantemente aumentando, come mostrano li linee nere nel grafico che rappresentano la concentrazione media decennale.

Questo andamento in continua crescita va di pari passo della crescita dei consumi mondiali di combustibili fossili (petrolio, gas naturale, carbone) e quindi dei consumi energetici necessari a garantire la crescita dei consumi e del Prodotto Interno Lordo (PIL) e dalla deforestazione, associata a questa crescita per aumentare la produzione agricola e di carne.

Figura 3. Andamento della emissione annuale di CO2 ( milioni di tonnellate) da diverse fonti
La Figura 3 mostra come, nel tempo, i maggiori contributi alle emissioni di CO2 siano derivati dalla combustione di prodotti petroliferi e dal carbone che attualmente rappresentano la principale causa del fenomeno.

Eppure la crisi economica globale ha ridotto i consumi energetici e chiuso tante aziende, come è possibile che l'anidride carbonica continui a crescere?

La risposta ce la da la Figura 4 che mostra come, negli ultimi venti anni, ciascuna macro-regione, su scala mondiale, abbia contribuito alla quantità di CO2 emessa in atmosfera.

Figura 4. Emissione globale di CO2  dall'uso di combustibili fossili e produzione di cemento delle macroregioni

Si nota che che effettivamente, a partire dal 2008 le emissioni di Stati Uniti, Giappone, Europa, Federazione Russa, sono diminuite o rimaste costanti.

In compenso, le emissioni della Cina sono costantemente aumentate e loro, da sole, hanno contribuito all'aumento della CO2 del Pianeta negli ultimi anni. Aumenti delle emissioni, sono attribuiti anche a India e ad altri paesi emergenti.

Il problema è che il modello di sviluppo che stannocostruendo è, non a caso, quello consumistico, dell'usa e getta.

E mentre l'Europa e l'Italia riscoprono il vantaggio di muoversi in città con la bicicletta, i cinesi, in massa, lasciano le loro biciclette e scoprono i "vantaggi" dell'automobile.

Mi dispiace constatarlo, ma oggi sono un pò più preoccupato dell'anno scorso.